“Lei non esisteva, non era mai esistita. Le persone non ricordavano il suo volto, il suo nome non era mai lo stesso. Solo nello scatto viveva, diventava reale, per poi tornare a essere l’invisibile creatura a cui nessuno rivolgeva una seconda occhiata”, scrive Francesca Diotallevi, Questo libro si ispira ad un personaggio veramente esistito, Vivian Maier, che morì completamente sola il 21 aprile del 2009. Trascorse una vita in solitudine ad occuparsi dei figli degli altri, entrava in queste vite senza mai costruirsene una sua. L’unica sua compagnia, attraverso cui osservava la realtà era una biottica Rolleiflex, che tra gli anni ’50 e ’70 era considerata la migliore macchina fotografica.

Alla fine tutti i suoi rullini, perchè le foto non le sviluppava, furono ritrovate post mortem e solo allora diventò famosa.

Copertina del libro

Nella narrazione si alternano due piani temporali: Vivian adulta e Vivian bambina. Nel racconto si incontrano diverse figure, alcune positive ma altre che lasciano in lei terribili traumi. La peggiore di tutte è la madre.

Il tema familiare è molto forte e in certi punti davvero doloroso. L’essere madre e l’essere figlia vengono analizzati da diverse prospettive, fino ad arrendersi all’ineluttabile: non è un rapporto che si può scindere, nemmeno spezzando i legami. Non è una questione di distanza fisica, né emotiva, ma solo di sangue. La rabbia non riduce il bisogno di amore, di accettazione; il distacco impedisce di realizzarsi pienamente come essere umano perché mancherà sempre un tassello. Una lettura difficile, consiglio solo a lettrici forti e temprate.

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