Complice due giorni con lunghi tragitti in metro, sono riuscita a leggere in tempo record “Riparare i viventi” di Maylis de Kerangal. Un libro forte, bellissimo, che non si dimentica. Una storia che parla della vita attraverso la morte. Cos’è la vita? È solo il corpo che possiamo vedere, toccare (quel corpo in cui un cuore può continuare a battere attaccato a una macchina anche quando della persona non rimane niente), un insieme di organi che lavorano senza sosta, o c’è dell’altro? Cosa ci rende vivi, se il cuore che era di Simon, che batteva per lui e insieme a lui può ridare la vita e un futuro a Claire, pezzo di ricambio organico e inestimabile? Com’è possibile ricominciare a vivere dopo esser stati a contatto con la morte, soprattutto se è quella di un figlio di diciannove anni? Impossibile non entrare in empatia con il dolore della madre che chiamata dal pronto soccorso dell’ospedale: “s’infila i vestiti in fretta… poi corre in bagno per schizzarsi acqua fredda sul viso, ma nessuna crema, niente, quando rialzando la testa dal lavandino incrocia il proprio sguardo nello specchio… stupita di non riconoscersi, come se fosse l’inizio della sua trasfigurazione, come se fosse già un’altra donna: un pezzo della sua vita, un pezzo bello grosso, ancora caldo, compatto, si stacca dal presente, per colare a picco in un tempo passato, per crollarvi e scomparire”.
2018-03-12